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LA ROTTA BALCANICA
Questa settimana all’interno dell’inserto “Industria – Speciale Forum Ambrosetti” allegato al quotidiano “Il Giornale”, il nostro socio fondatore Antonio Schiro, offre una disamina sulle opportunità di investimento nell’Est Europa andando a declinare i più opportuni strumenti finanziari a supporto dell’internazionalizzazione.
A seguire il testo integrale dell'intervista.
Industria, allegato al quotidiano “Il Giornale”, Speciale Grandi eventi - Forum Ambrosetti
LA ROTTA BALCANICA
CON ANTONIO SCHIRO, DOTTORE COMMERCIALISTA E REVISORE CONTABILE FONDATORE DELLO STUDIO SCHIRO & PARTNERS, UNA DISAMINA DELLE OPPORTUNITA' DI INVESTIMENTO A EST DA PARTE DELLE PMI ITALIANE E NON SOLO
L’Europa dell’Est è da sempre uno dei mercati di sbocco delle imprese italiane. Vendere, comprare, investire sono solo tre delle possibilità che si aprono per gli imprenditori che scelgono di puntare sull’internazionalizzazione a poche ore dai confini nazionali. Ancora di più se “casa” è in Triveneto, zona da sempre vocata al dialogo con l’Oriente. Negli ultimi vent’anni, poi, il rapido sviluppo delle economie dell’Est Europa, incrementando e consolidando il potere di acquisto, modernizzando la struttura produttiva locale e uniformando le certificazioni richieste alle normative Ue, ha creato le condizioni propizie per attrarre sempre più piccole e medie aziende nazionali, che hanno riscoperto nell’area balcanica e non solo, mercati accessibili per vicinanza geografica, culturale ed economica. Non a caso, l’Italia è uno dei primi partner sia per IDE (investimenti diretti) che per interscambio commerciale dell’Est Europa. Ne abbiamo parlato con Antonio Schiro, dottore commercialista e revisore contabile fondatore dello Studio Schiro & Partners, nonché cofondatore della Camera di Commercio Italo-Mongola, dell’Associazione Sistema - libera associazione di imprese italiane in Serbia, dalla cui rebranderizzazione è nata Confindustria Serbia (territoriale estera di Confindustria Italia) della quale è membro del Comitato di Presidenza e membro del consiglio direttivo di Confindustria Balcani con delega a credito e finanza per l’area. Studio Schiro & Partners è organizzato in due business unit – una strettamente collegata al mercato Italia, operante nell’attività tradizionale di corporate finance, debt e M&A oltre ad attività di restructuring, l’altra mirata alle imprese italiane che puntano sull’internazionalizzazione, sia essa greenfield o brownfield, con particolare focus, per ragioni di sinergia territoriale, verso la rotta dell’Est Europa – alle quali vengono prestati gli stessi servizi consulenziali; lo Studio Schiro si propone di offrire soluzione innovative alle imprese, con particolare riguardo alle Pmi, affiancando gli imprenditori durante i processi decisionali critici, affinché conducano a scelte strategico finanziarie ottimali e consentano di reperire i capitali necessari allo sviluppo delle imprese stesse.
Quali sono in questo momento i mercati più interessanti dell’Est Europa?
«In questo momento, a parte la situazione contingente che vede due fattori estremamente negativi (alti costi di materie prime, energia e gas e guerra in Ucraina), le imprese italiane e trivenete in particolare, trovano sulla direttrice balcanica opportunità interessanti. Tale direttrice offre opportunità notevoli anche per quanto attiene la strutturazione di assetti produttivi, grazie alla disponibilità di una certa tipologia di manodopera, dotata di un buon grado di preparazione, a costi più bassi rispetto a quelli italiani e dell’Europa occidentale, restando comunque in un’area vicina territorialmente, che non presenta le problematiche riscontrate dalle imprese italiane che hanno investito per esempio in India e Cina. In questo momento a ciò si aggiunge la pandemia i cui effetti anche in quest’area sono stati importanti. Oggi la situazione si è assestata, è in linea con quella pandemica italiana, sia in termini di controllo che di contagio. Nel primo semestre 2022 e nell’ultimo quadrimestre 2021 le attività commerciali delle aziende che hanno investito sia direttamente che indirettamente in quest’area stavano dando risultati soddisfacenti. Adesso si cominciano a sentire gli effetti della guerra in Ucraina, dell’inflazione e del ritorno pandemico. Nel complesso ci sono certamente ancora buone opportunità di investimento ma questi fattori esogeni vanno considerati. I nostri imprenditori stanno monitorando la situazione perché non è detto che quest’area sia esente da influenze negative rispetto all’Italia o all’Europa occidentale».
Che impatto ha avuto la guerra in Ucraina e la sua cronicizzazione sul business?
«Purtroppo è andata oltre ogni previsione e questo, al di là dell’immane dramma umano e della distruzione materiale dei territori, rappresenta un fattore permanente di instabilità e volatilità che nell’ottica di gestione di imprese non va sottovalutata. Le imprese devono operare secondo un’ottica di pianificazione di medio periodo per pensare a sviluppo e crescita, non possono pensare al domattina e non nel medio periodo, per tale ragione è assolutamente impensabile qualsiasi tipo di pianificazione sia in termini produttivi che di sviluppo commerciale se non ci sono elementi di stabilità. Tutto ciò oggi è influenzato sicuramente dalla guerra ma non solo: c’è la pandemia ma soprattutto c’è l’alto costo dell’energia e la disponibilità di risorse energetiche e conseguentemente la gestione del pricing, la difficoltà di reperimento delle materie prime sta impattando in maniera importante sulle scelte delle imprese. Detto ciò comunque l’area balcanica continua a rappresentare una opportunità conseguentemente al conflitto, in quanto molte imprese italiane che avevano investito in Russia ed Ucraina, hanno deciso di spostare le proprie attività proprio in paesi contigui con situazioni geopolitiche completamente diverse, come Serbia, Romania, Polonia».
Ogni crisi nasconde un’opportunità: quali sono quelle che si stanno aprendo in questa fase storica per le Pmi italiane?
«Dietro ad ogni crisi si nasconde un’opportunità questo è un mantra da non sottovalutare, anche se una serie di fattori esogeni e contingenti ci fanno pensare di essere nel pieno di una tempesta perfetta, evidenziandosi contingenze che mettono a rischio anche la stabilità geopolitica dell’area con il timore che il conflitto possa sfuggire dal perimetro attuale e possa coinvolgere indirettamente anche qualche altro paese. A ciò si aggiunga l’effetto inflazione derivante dalla disponibilità di materie prime e conseguentemente dal costo dell’approvvigionamento che influenza le capacità di acquisto del consumatore finale. Nel medio periodo si apriranno opportunità interessanti e importanti legate a quelle che possono essere le richieste che il mercato farà di determinati tipologie di prodotti e conseguentemente ciò influenzerà la produzione degli stessi, ciò pur con la speranza ovviamente che quanto prima questa guerra finisca e che si possano cogliere opportunità legate alla ricostruzione di un’area vasta ed importante. Va da sé che chi è presente nell’area o nei dintorni potrà coglierle in tempi rapidi. Questa è un’epoca caratterizzata da una altissima volatilità che impatta sia sulle filiere produttive che commerciali ma, lo stiamo vedendo, ci sono tutta una serie di riequilibri geo-economici che porteranno a creare nuove opportunità di business. Un esempio banale è la produzione di granaglie, il cui approvvigionamento proveniva in modo importante da aree oggi teatro di guerra. In questo ambito, si creeranno opportunità di sviluppo agricolo analoghe a quelle già avute nell’Europa orientale in altri paesi».
Il mercato bancario italiano, che si caratterizza da sempre per notevoli difficoltà nell’accesso al credito da parte delle Pmi, è riuscito a rispondere tempestivamente alle mutate richieste delle aziende nell’era pandemica?
«Il vero benchmark quando parliamo di finanza è il mondo anglosassone che ci ha insegnato e continua a insegnarci che la finanza non è perimetro esclusivo delle banche. In Italia le banche non hanno mai realmente fatto finanza ma hanno cercato di garantire l’acceso al debito alle imprese. In finanza è fondamentale come in altri settori la specializzazione che nell’ambito del sistema bancario attuale si è ridotta notevolmente. Garantire risorse finanziarie tout court, come è successo in Italia durante il periodo della pandemia, non può esistere se non in funzione di un progetto specifico. Dall’altro lato, l’impresa non ha fatto grandi sforzi per cercare un linguaggio confacente al rapporto sinergico con il sistema bancario. Il fenomeno recente italiano, incentivato dalla pandemia, è stato determinato dall’immettere una quantità enorme di liquidità nel sistema grazie al supporto statale erogato attraverso il rilascio di garanzie MCC e/o SACE. La liquidità in circolo è stata ed è ancora tantissima, difficilmente sostenibile per un sistema produttivo che non è in crescita. Le imprese non possono far senza le banche ma devono cambiare modelli e approcci. Noi nel nostro ruolo di advisor finanziario cerchiamo di contribuire a creare nei nostri clienti le condizioni per avere il supporto al sistema bancario evidenziando però che è necessario assolutamente un approccio strategico ed una attenta ottica finanziaria del business: non è più il momento di puntare ai ricavi se non quando la crescita dell’azienda segue la crescita della cassa».
Intervista a cura di Alessia Cotroneo